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La responsabilità medica del ginecologo in caso di raschiamento mal eseguito.
Gli errori che un ginecologo può commettere e per i quali lo stesso può incorrere in responsabilità professionale medica sono tanti, ad esempio:
- infezioni ospedaliere;
- mancata diagnosi del distacco di placenta;
- mancata diagnosi di malformazioni in epoca prenatale;
- mancata diagnosi di tumori dell’apparato genitale femminile;
- mancato monitoraggio in gravidanza ad alto rischio;
- isterectomia evitabile o eccessivo trattamento chirurgico;
- nascita indesiderata;
- lesioni uterine causate da raschiamento dell’utero.
Quest’ultima situazione rappresenta uno degli errori più comuni in ambito ginecologico per la quale si può chiedere il risarcimento del danno.
Ma vediamo innanzitutto cos’è il raschiamento e quali sono i danni che può causare se effettuato male.
Il raschiamento è una procedura ginecologica invasiva che viene eseguita per rimuovere una massa anomala presente nell’utero. Più nello specifico, tale intervento viene eseguito per comprendere l’origine di alcuni disturbi mestruali (raschiamento diagnostico), oppure per recidere fibromi o polipi uterini e rimuovere volontariamente il prodotto di una gravidanza non voluta (entro e non oltre la tredicesima settimana di gestazione) o di una gravidanza andata male (feto morto in pancia) dopo aver accertato l’assenza battito fetale. In questi ultimi casi si parla, invece, di raschiamento operativo.
Mentre in passato tale procedura veniva effettuata con il “curette”, una sorta di cucchiaio a manico lungo con una lama ricurva che consentiva l’accesso all’utero e raschiava le pareti, oggi il raschiamento viene praticato con un sistema di aspirazione mediante una cannula. Il cucchiaio viene utilizzato soltanto al termine dell’intervento, al fine di ispezionare le pareti uterine e di verificare che l’utero sia stato svuotato del feto morto o del tumore.
Eventuali perdite post raschiamento della paziente sottoposta a questo intervento chirurgico possono essere il campanello d’allarme di un raschiamento mal eseguito.
In tal caso il ginecologo, incorrendo in responsabilità professionale, deve rispondere di colpa medica ed è tenuto a risarcire il danno.

Raschiamento mal eseguito: l’iter per ottenere il risarcimento dei danni.
Per responsabilità medica si intende la responsabilità professionale di chi esercita una attività sanitaria per i danni derivati al paziente da errori, omissioni o in violazione degli obblighi inerenti all’attività stessa.
Affinché si parli di responsabilità medica è necessaria la sussistenza di un nesso di causalità fra la lesione alla salute psicofisica del paziente e la condotta dell’operatore sanitario in concomitanza o meno con le carenze o inefficienze di una struttura sanitaria.
Al fine di ottenere un risarcimento del danno da errore medico occorre innanzitutto farsi assistere da un avvocato specializzato nella materia.
Il professionista provvederà ad inviare, per conto del danneggiato, al medico (in tal caso, al ginecologo) o alla struttura sanitaria, una richiesta di risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, patiti dalla paziente, i quali saranno calcolati in base alla perizia stilata dal medico-legale.
Nel caso in cui la struttura sanitaria non riscontri la diffida di pagamento, l’avvocato procederà al deposito, presso il Tribunale competente di un ricorso per accertamento tecnico preventivo ai fini della composizione della lite, ex art. 696-bis c.p.c., come sancito dall’art. 8 della Legge Gelli-Bianco.
Lo scopo del ricorso è quello di trovare un accordo con la controparte mediante l’aiuto di un consulente tecnico d’ufficio esperto in medicina legale, il quale, nella maggior parte dei casi, è affiancato da un medico specialista nella specifica materia.
Il CTU, il quale viene nominato dal Giudice, ha il compito di:
- accertare se, in base alla documentazione prodotta dalla danneggiata, sia ravvisabile o meno un caso di malasanità;
- in caso affermativo, valutare i danni patiti, nonché la congruità delle spese mediche sostenute.
Tale procedura permette di disporre della perizia di un medico legale nominato dal Giudice che viene redatta a seguito a un confronto sul caso fra i medici legali nominati rispettivamente dalla paziente e dalla struttura sanitaria.
Una ulteriore soluzione, che sostituisce l’accertamento tecnico preventivo, è rappresentata dal procedimento di mediazione, ai sensi dell’art. 5, comma 1-bis, del Decreto Legislativo 4 marzo 2010, n. 28.
Le finalità della mediazione sono le stesse dell’accertamento tecnico preventivo; l’unica differenza è che nel caso della mediazione, l’avvocato deposita una domanda presso un organismo di mediazione accreditato dal Ministero della Giustizia, piuttosto che al Tribunale.
Nell’ipotesi in cui le parti non riescano a trovare un accordo sul risarcimento a seguito del deposito della perizia, la parte lesa, sempre con l’aiuto del proprio avvocato, potrà fare causa al medico o alla struttura sanitaria.
Inoltre, nel caso in cui la danneggiata abbia scelto il ricorso per accertamento tecnico preventivo, potrà chiedere che in giudizio venga acquisita la perizia depositata dal CTU. Difatti, la perizia potrà essere utilizzata dal giudice nella redazione della sentenza per quantificare i danni subiti dalla paziente e per condannare il medico o la struttura ospedaliera al risarcimento.