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Sono ammessi gli spostamenti per prostituirsi durante la pandemia?
Nonostante il mercato del sesso sia apparso da sempre infallibile, pare che la pandemia da Covid-19, che da più di un anno a questa parte ha messo in ginocchio non soltanto l’Italia, ma anche il resto del mondo, abbia messo in crisi questo tipo di attività.
Per tante persone, infatti, il meretricio costituisce una fonte di reddito e, a causa delle varie misure imposte per arginare i contagi, tante prostitute, che si sono viste impedite nella loro attività, sono state e sono anche adesso costrette a ricorrere alla Caritas o a vari centri di accoglienza, non ritrovandosi più uno spicciolo in mano.
In questo momento di restrizioni, come tutti, anche coloro che si prostituiscono si pongono mille domande, soprattutto riguardo gli spostamenti, che, se impediti, non gli consentono di svolgere il proprio lavoro e, dunque, di vivere.
In questo articolo vedremo come chi esercita il meretricio deve comportarsi, dovendosi spostare da un comune ad un altro, da una provincia ad un’altra o ancora da una regione ad un’altra per lavorare.
Il DPCM invita tutti a stare a casa, ma, per lavoro, gli spostamenti sono consentiti, anche fra regioni.
Per qualsiasi spostamento, in caso di controlli, bisogna compilare l’autocertificazione e esibirla all’agente di polizia, qualora si venga fermati.
È necessario dichiarare:
- di essere a conoscenza delle misure normative di contenimento del contagio, le quali limitano gli spostamenti all’interno del territorio nazionale;
- di essere a conoscenza delle ulteriori restrizioni previste da ordinanze o altri provvedimenti amministrativi adottati dal sindaco o dal presidente della regione;
- di essere a conoscenza delle sanzioni previste.
Gli spostamenti sono consentiti solo se motivati:
- da comprovate esigenze lavorative;
- da motivi di salute;
- da altri motivi (di necessità) ammessi dalle vigenti normative o da decreti, ordinanze e altri provvedimenti che definiscono le misure di prevenzione della diffusione del contagio da Coronavirus.
Come qualunque lavoratore costretto a spostarsi per la propria attività lavorativa, anche la prostituta o l’accompagnatore per donne deve munirsi di autocertificazione, nella quale deve:
- barrare la casella relativa alla voce “comprovate esigenze lavorative”. Durante il primo lockdown, molti mercanti del sesso “beccati” dalle forze dell’ordine mentre si recavano ad un appuntamento, sono stati multati, in quanto avevano semplicemente ricondotto lo spostamento ad “altri motivi di necessità”;
- indicare da dove è iniziato lo spostamento e l’indirizzo di destinazione finale;
- fare una ulteriore dichiarazione per meglio specificare le motivazioni, sottolineando che l’attività in questione, sebbene sembri essere diversa da tutte le altre, costituisce una vera e propria fonte di reddito.
Il modulo deve indicare data, ora e luogo del controllo, e deve essere sottoscritto dal cittadino e dall’operatore che effettua il controllo.
L’autocertificazione non è necessaria se ci si deve spostare all’interno di una regione gialla.
È, invece, obbligatoria se lo spostamento avviene da un comune all’altro o da una provincia all’altra di una regione arancione o rossa, e se ci si sposta da una regione all’altra.
L’autocertificazione è obbligatoria anche in ordine allo spostamento inverso, dopo aver svolto l’attività in questione: il soggetto dovrà specificare di essersi spostato per ragioni di lavoro e di essere in viaggio per rientrare nel proprio domicilio.
Occorrerà sempre ritornare al proprio domicilio nella stessa giornata, in quanto non è permesso intrattenersi per più giorni presso l’abitazione della cliente. Infatti, il DPCM è chiaro nello specificare che le visite sono consentite una volta al giorno nella fascia d’orario che va dalle ore 5:00 alle ore 22:00, massimo in due e accompagnati da figli minori di 14 anni e, tra l’altro, nella stessa regione. Ciò non è, invece, consentito nelle regioni rosse.

La Cassazione ha riconosciuto il meretricio come attività “lecita”.
Nel nostro Paese la prostituzione è definita come scambio di servizi sessuali per denaro.
Da un punto di vista penalistico, la prostituzione è lecita, a condizione che venga esercitata in maniera autonoma, volontaria, da volontariamente, da persona maggiorenne e pienamente capace di intendere e di volere. Ciò vuol dire che la prostituta, la quale offre spontaneamente le proprie prestazioni sessuali a scopo di lucro, non commette reato.
Poiché attività lecita e, dunque, legale, la prostituzione non può essere vietata; è, invece, illegale ogni altra attività collaterale come lo sfruttamento, il favoreggiamento, l’organizzazione in luoghi chiusi ed il controllo in generale da parte di terze persone.
La legge 75/1958 (la cosiddetta legge Merlin), ad oggi in vigore, vietò i bordelli ed introdusse il reato di lo sfruttamento della prostituzione, ossia l’attività di chi trae profitto dalla prostituzione altrui e quello di favoreggiamento della prostituzione, che sarebbe il comportamento di chi aiuta una persona a prostituirsi.
Da un punto di vista civilistico, ossia sotto il profilo della validità del contratto siglato, sebbene in forma orale, fra la prostituta e il cliente, il meretricio comporta la nullità dell’obbligazione, in quanto la causa è contraria al buon costume. In tal caso, chi ha pagato in anticipo non può ottenere la prestazione in caso di inadempimento ovvero non può chiedere la riduzione del prezzo nell’ipotesi in cui rimanga insoddisfatto delle prestazioni.
In quanto attività “lecita”, la Cassazione, con la sentenza 20528/2010, ha sottolineato che i proventi che derivano dal meretricio sono tassabili e vanno indicati nella dichiarazione alla voce “redditi diversi” o “redditi di lavoro autonomo”.
Conseguentemente, in caso di mancata presentazione della dichiarazione dei redditi, scattano le sanzioni tributarie e, qualora si evada oltre 50mila euro, scatta anche il penale, cioè il reato di omessa dichiarazione dei redditi.
Successivamente, con la sentenza 10578/2011, la Suprema Corte ha affermato che la prostituzione va considerata come “un’attività normale” e che
L’articolo 36 comma 34 bis della Legge 248/2006, facente capo alla Legge 537/1993 articolo 14 comma 4 ed all’articolo 6 comma 1 del D.P.R. 917/1986 T.U.I.R., ha implicitamente modificato la Legge 75/1958 agli articoli 7 e 3 comma primo numero 8, derogando i rispettivi dettami ai fini fiscali.