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Cos'è la diseredazione e quali sono le conseguenze?
Una delle volontà spesso manifestate da chi si accinge a fare testamento è quella di escludere un familiare dalla propria successione, e cioè fare in modo che quel determinato soggetto non possa mai, e in nessun modo, diventare suo erede.
Può accadere, ad esempio, che il testatore voglia capire come diseredare un figlio o voglia che un fratello, un nipote, od altro parente venga tenuto fuori dalla sua successione. La domanda da porsi in tali casi è se sia legittima tale volontà e come fare, eventualmente, a realizzare quanto desiderato. In questo articolo, quindi, parleremo di un argomento piuttosto scottante: “Autonomia testamentaria e diseredazione”.
I dubbi sulla validità di una “clausola testamentaria di diseredazione espressa”, sono sorti in quanto l’art. 587 c.c., nel fornire la definizione di testamento, ha chiaramente indicato come questo sia un atto attributivo, ovvero un atto con il quale il de cuius dispone della propria successione “attribuendo” il proprio patrimonio a determinati soggetti da lui indicati.
Art. 587 del Codice civile:
Il testamento è un atto revocabile con il quale taluno dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutte le proprie sostanze o di parte di esse.
Le disposizioni di carattere non patrimoniale, che la legge consente siano contenute in un testamento, hanno efficacia, se contenute in un atto che ha la forma del testamento, anche se manchino disposizioni di carattere patrimoniale.
Facendo leva su questo dato testuale, si è ritenuto nella dottrina tradizionale che la diseredazione esplicita non potesse trovare spazio nel nostro ordinamento essendo, questa, una mera disposizione negativa ma non attributiva.
In sintesi, il ragionamento alla base della tesi negativa è il seguente: se un valido testamento per essere tale deve contenere disposizioni con cui il de cuius “lascia” o “attribuisce” i suoi beni a soggetti determinati, un testamento del tipo “escludo dalla mia successione mio nipote Tizio” non sarebbe ammissibile perché questo non è attributivo di nulla.
A tale tesi si è obiettato che ,anche con la diseredazione di un soggetto, di fatto si attribuisce il proprio patrimonio in un determinato modo; ricollegandoci all’esempio sopra citato, e detto in parole povere, se escludo dalla successione mio nipote Tizio, vuol dire che i miei beni li sto attribuendo agli altri miei eredi legittimi diversi da Tizio.
Quest’ultimo orientamento è stato recepito dalla giurisprudenza di Cassazione degli ultimi anni stabilendo che la diseredazione è espressione di un regolamento di rapporti patrimoniali rientrante nel contenuto tipico dell’atto di ultima volontà. Per questo motivo, può ritenersi valido un testamento che contenga una disposizione di diseredazione anche senza nulla attribuire ad alcuno.
D’altra parte gli stessi effetti pratici della diseredazione espressa, si potrebbero realizzare attribuendo tutti i propri beni a soggetti determinati (non contemplando la persona che si vuole escludere) e prevedere varie sostituzioni per il caso in cui i nominati eredi, per una qualsiasi ragione, non possano o non vogliano accettare l’eredità.
Si può diseredare un figlio o un altro erede legittimario?
Ammessa, dunque, la validità di un testamento dal contenuto meramente diseredativo, occorre ora esaminare i limiti e le condizioni della sua operatività.
Ecco che torna in rilievo la distinzione tra eredi legittimi e legittimari già esaminata.
Mentre, infatti, l’esclusione dalla successione di un erede legittimo ma non legittimario (es. fratello o nipote) è ormai, come precedentemente detto, ammessa, la diseredazione di un erede legittimo escluso dal testamento ma, comunque, legittimario (es. coniuge e figli) suscita maggiori criticità.
L’art. 549 c.c. stabilisce la nullità di qualunque peso o condizione sulla legittima, per cui: “qualunque disposizione con cui il testatore pone a carico del legittimario delle limitazioni o pesi che vanno a gravare sulla quota di riserva ad esso spettante è affetta da invalidità”.
Tale principio giustificherebbe, secondo l’orientamento prevalente, la tesi per la quale la diseredazione di un legittimario ricadrebbe nel divieto di cui al citato art. 549 c.c. e quindi sarebbe radicalmente nulla.
Non manca, però, chi ha sostenuto, al contrario, che la clausola di diseredazione di un legittimario non è nulla ma, al più, riducibile o impugnabile dal legittimario escluso, con lo specifico rimedio dell’azione di riduzione, rimedio previsto in caso di pretermissione, ed utilizzabile secondo tale tesi anche per il caso di diseredazione.
Che differenza c’è tra diseredati e pretermessi?
Dalla diseredazione occorre distinguere la diversa ipotesi di pretermissione.
Pretermettere significa “omettere”, e in ambito testamentario ciò avviene quando il testatore ha semplicemente omesso di contemplare un determinato soggetto dalle persone indicate quali beneficiarie delle sue disposizioni di ultima volontà.
Appare, dunque, chiara la distinzione con la diseredazione: mentre con quest’ultima disposizione il de cuius manifesta apertamente la volontà che un soggetto non venga mai, per qualunque ragione, chiamato alla sua successione, con la pretermissione il testatore nulla dice in proposito ma, di fatto, esaurisce il suo patrimonio assegnandolo a persone diverse dal pretermesso.
La distinzione si rileva non solo dal punto di vista teorico ma anche dal punto di vista operativo. Vediamolo con un esempio pratico:
Tizio non ha coniuge né figli, ma ha solo due fratelli, Caio e Sempronio, e vuole che i suoi beni vadano tutti a Caio e non a Sempronio.
Con la pretermissione Tizio fa un testamento con cui attribuisce tutti i suoi beni a Caio senza dire nulla circa Sempronio, con la diseredazione, Tizio dispone espressamente che Sempronio deve essere escluso dalla sua successione.
Nel primo caso, potrebbe comunque accadere che Sempronio venga chiamato alla successione non per volontà di Tizio ma per legge, ad esempio nel caso in cui l’altro fratello Caio rinunci all’eredità.
In caso di diseredazione, invece, Sempronio non potrà mai venire alla successione di Tizio neanche se si aprisse la successione ex lege, essendo stato ciò, espressamente escluso per volontà del testatore.
Da quanto sopra esposto emerge, dunque, chiaramente che la volontà di escludere determinati soggetti dalla propria successione, va valutata con estrema ponderazione, tenendo in considerazione, in primo luogo, quali sono gli effetti e conseguenze che si intendono produrre ed, in secondo luogo, prestando estrema attenzione alla categoria di soggetti che si intende diseredare, essendo il nostro ordinamento fortemente improntato al principio della tutela dei diritti successori di riserva.